una riflessione sul contemporaneo / Elisabetta Liguori

Accade oggi che si abbia paura. Una paura liquida e pervasiva, di livello molto più alto
e inquietante di quello che solitamente bagna le giornate di tutti.
Una paura infestante come una pianta rude, che si nutre
delle parole che sono nell’aria. Accade che si parli solo di
questa paura, tivù, radio, social, la gente per strada, in ufficio,
e le parole germinano, infettano, contagiano.

Non è dato spazio ad altre notizie che non siano quelle della paura
o della reazione alla paura o della strumentalizzazione della paura.
Nessun altro argomento, così m’assale il bisogno di cercare altrove,
nei libri già scritti, la prospettiva che la paura schiaccia.

Cerco di tener su la testa, di guardare oltre l’orizzonte.
Mi sento come una nuotatrice stanca in mare aperto, annaspo,
sbatto forte le braccia e i piedi, allungo il collo, tengo aperta la bocca,
respiro più forte. Aspetto i soccorsi e imbarco acqua.

Accade oggi che la paura che cresce produca un solo effetto
positivo: desiderare di essere vivi.
E per essere vivi c’è una sola strada possibile:
ritrovare il corpo, il nostro, quello che è, toccarlo per capire
dove si è nascosto, misurarlo, guardarlo, ascoltarlo.

Averne simpatia, pietà,
rispetto e questo, devo dirlo,
mi stupisce e mi piace.

 

Elisabetta Liguori

(foto Agnese Cossa)