DIARIO POST MORTEM di Roberta Cleopazzo

DIARIO POST MORTEM DI ROBERTA CLEOPAZZO

Un diario scritto a ritmo di musica, ricco di riferimenti letterari, pittorici, fisici; non un libro da leggere soltanto quindi, ma anche da guardare e ascoltare. Assaporare. DIARIO POST MORTEM parte dalla morte per arrivare alla vita mescolando appunti, disegni, desideri e riflessioni. È un inno di rinascita, uno stimolo a rialzarsi e ripartire. E voi, siete mai morti?

Roberta Cleopazzo, Lecce 1976. Dopo gli studi al liceo artistico, studia DAMS Arte a Bologna. Lavora come graphic designer, nel tempo libero è dj (con lo pseudonimo di Rebecca Wilson), studia teatro, collabora con collettivi organizzando festival dedicati alle arti digitali e alla musica elettronica.

dove lo puoi trovare:
Libreria Palmieri, Lecce
Caffè Letterario, Lecce
Libreria Tra le righe, Leverano (Le)
Libreria Marcaria, Gallipoli (Le)
Libreria Mondadori, Galatone (Le)
Libreria Lettera 22, Mesagne (Br)

oppure qui:
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per qualsiasi informazione scrivi a:

associazionecollettiva@gmail.com

Roberta Cleopazzo, Diario post mortem
collana Taccuini e altre cose | 4
Collettiva edizioni indipendenti
prezzo 14,00
pagine 92
ISBN 9788894647327


LE PAROLE, IL MONDO

LE PAROLE, IL MONDO,
iscrizioni fino al 17 settembre.

Riprendono i laboratori di scrittura della nostra editrice,
tenuti da Simona Cleopazzo ed Elisabetta Liguori.
Esploreremo nuove tecniche di scrittura, sperimenteremo
la scrittura esistenzialistica dal sé, scopriremo assieme cosa è una buona storia.
I laboratori sono a numero chiuso on line su Google meet o in presenza:
un incontro settimanale di tre ore la domenica o il mercoledì
(oppure puoi chiedere un percorso personalizzato).
Tutte le info scrivendo a associazionecollettiva@gmail.com.

la stanza della scrittura / laboratorio permanente 2021

LE PAROLE, IL MONDO
la stanza della scrittura {permanente}
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.
Simona Cleopazzo
Il taccuino degli appunti e degli spunti.
Il laboratorio diventa sperimentazione.
"Affiniamo la nostra voce grazie
agli spunti di scrittrici e scrittori
che ci raccontano la realtà.
Un allenamento di scrittura da sé
(esistenzialistica) d'incontro con l'altro (scrittura di relazione).
Elisabetta Liguori
Scopriamo assieme cosa
è una buona storia:
dalla realtà alla narrazione,
dall'esperienza alla finzione letteraria.
1. Troviamo il tema,
troviamo il punto di vista.
2. Strutture e modelli,
organizziamo il nostro lavoro.
3. Leggere e rileggere.
Start 24 gennaio 2021
numero chiuso
on line o in presenza
1 incontro settimanale
ogni domenica pomeriggio
dalle 17,00 alle 20,00
oppure ogni sabato mattina
dalle 10,00 alle 13,00
ogni mese ci sarà un incontro extra
con scrittori e scrittrici
per informazioni, iscrizioni
cell. 392.1995882 / 328 165 8909
associazionecollettiva@gmail.com

è tempo di scrivere / ripartono i laboratori di scrittura 2020/2021

ecco i nostri laboratori 2020/2021
domenica 4, 11, 25 ottobre e 8, 15, 22, 29 novembre
dalle ore 16,30 alle ore 19,30
AMO, RESISTO, SOGNO, SCRIVO (terzo anno)
a cura di Simona Cleopazzo
Abbandoneremo l'autobiografia e la geografia,
il racconto diventerà collettivo e storico.
Faremo un lavoro deduttivo:
"I grandi eventi storici come hanno influenzato la nostra vita?"
Intrecceremo i diari alle date in rosso sul calendario.
Un cambio di rotta necessario,
che ci farà scoprire un nuovo modo di scrivere.
(laboratori in presenza e on line nelle stesse date).
venerdì 15,22 gennaio, 12, 19 febbraio, 12, 19 marzo
dalle ore 16,30 alle ore 19,30
LE PAROLE, IL MONDO (secondo anno)
a cura di Elisabetta Liguori
Le parole sono un mezzo di traporto capace di per muoversi e trasformarsi dentro il mondo.
I nostri racconti sono dei Lentobus.
Immaginiamo la scrittura come il viaggio che eroi ed eroine di ogni giorno compiono fuori e  dentro di sé.
Viaggeremo con 3 passi:
- ideazione ( PARTENZA)
- strutturazione del viaggio ( MOVIMENTO)
- rilettura ( RITORNO).
(laboratori in presenza e on line nelle stesse date).
per sapere di più su iscrizione, costi e location
manda una mail a
associazionecollettiva@gmail.com

Abbecedario del mondo dopo /// il nuovo libro di Collettiva

Quali sono le parole che ti fanno compagnia in questi giorni? E se ti dico “mancanza”, tu a cosa pensi? Noi di Collettiva abbiamo voluto provare a scrivere insieme un piccolo vocabolario che parte dalle nostre esperienze, da quello che sentiamo e da chi siamo veramente. Un vocabolario collettivo, libero dalle definizioni prestabilite e tutto al femminile.
Molte delle parole che usiamo quotidianamente e anche alcune di quelle che prima della pandemia usavamo di rado, stanno subendo in questi giorni un profondo mutamento, un cambiamento che ha a che fare con la percezione e l’immaginario che si crea nella mente delle persone; pensiamo per esempio alle parole “contatto”, “abbraccio”, “eroe”, “contagio”, alle immagini che immediatamente ci rimandano come se fossero specchi che riflettono una verità che viene da fuori. Questo vogliamo
evitare: accettare passivamente il fluido della notizia, il gelo dei numeri declamati alle sei del pomeriggio e l’anestesia di schermi sempre più affollati.
Nonostante le distanze imposte, o forse proprio per questo, abbiamo sentito la necessità, il desiderio forte di continuare a stare insieme e creare questo piccolo mondo collettivo partendo dalle parole. Un mondo amico, familiare e che in qualche modo segna una mappa fatta di sentimenti e persone reali che si sentono sole, mangiano, cantano, piangono, ridono, sperano, pensano, si arrabbiano. Esattamente come te. Con la libertà che caratterizza da sempre il nostro modo di essere e di scrivere, ogni autrice ha interpretato le lettere secondo il proprio sentire: con vere e proprie definizioni personali di un vocabolario “sui generis” oppure con racconti ispirati alle nuove e infinite sfaccettature della realtà che stiamo vivendo.

Perché un abbecedario collettivo?
Cercare di dare un proprio senso alle parole vuol dire reagire in maniera creativa di fronte all’avanzare minaccioso della paura e della confusione, è un modo di stare dentro l’essenza delle cose senza subirle. Per questo abbiamo scelto di tornare all’abc: perché la parola è un bene comune e crea rapporti, scambi inevitabili tra chi dice e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge. È un modo buono per evitare la solitudine, quella brutta, quella che oggi si chiama “isolamento”.
Non sappiamo se questa pandemia si guadagnerà un posto nella categoria degli eventi cruciali per l’umanità, ma sicuramente ha già provocato evidenti modifiche semantiche; prendiamo per esempio la parola “positivo”: ecco, se ieri pensare positivo era una cosa buona e auspicabile, oggi invece tutto vorremmo tranne che risultare positivi. Le parole accompagnano la nostra vita, feriscono e leniscono, per questo bisogna saperle usare con misura ed evitare soprattutto di abusarne.
Inflazionarle, sporcarle e utilizzarle per creare slogan, hashtag e motti, certo non concorre a quel processo di cura e protezione del linguaggio a cui invece ci sentiamo chiamate. Abbiamo perciò voluto prendere le distanze (le distanze!) dalla mera definizione di ciò che pronunciamo meccanicamente, cercando di dare voce alle nostre idee e al nostro sentire, in maniera Collettiva come piace a noi. Questo abbecedario è il nostro modo di resistere con ottimismo agli eventi.
Dentro non ci troverete definizioni oggettive e standardizzate, ma interpretazioni personali legate all’esperienza, mondi che ci auguriamo possano essere condivisi e utilizzati da chiunque voglia trovarsi pronto quando verrà domani. Perché domani verrà, eccome se verrà.
La parola non conosce un modo imperativo, piuttosto incoraggia.
Parola di Collettiva!

Cristina Carlà

 

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Dal laboratorio di Elisabetta Liguori

Immaginate un gruppo di persone che s’incontrano per esercitare un’abilità specifica che è quella della
scrittura e produrre dei racconti scritti che partono dall’esperienza diretta (io) per arrivare al mondo (gli
altri) in un ambiente di totale condivisione.
Immaginate che queste persone abbiamo come obiettivo comune quello di mettersi in movimento, di
spostarsi, anche di poco, più in là, più indietro o più avanti, o anche più a lato di sé stessi.
Immaginate che queste persone riescano a dimostrare che esiste un’identità strutturale tra storia di sé e
racconto di finzione.
Immaginate che insieme riescano dare la risposta giusta a due domande che si pongono da tempo:
- Perché voglio scrivere?
- Chi è il mio lettore?

Immaginate che queste persone riescano a mettere nella loro scatola degli attrezzi tutto ciò che serve per
cominciare. Una stanza tutta per noi, sì, ma cosa altro?
- Tempo
- Desiderio
- Ascolto
- Osservazione
- Esperienza
- Un buon progetto

Immaginate che queste persone mettano le mani nella terra e dissotterrino se stessi. Che dissotterrino un
frammento d’osso, oppure un sogno, un libro già letto, uno spavento improvviso, un fatto di cronaca, un
suono forte, un profumo. Immaginate che rompano la zolla e lo tirino fuori, che comincino a ripulirlo con
cura, che lo osservino con scrupolo, che lo scelgano come oggetto principale della loro storia e che
comincino a raccontarlo al lettore immaginato.
Immaginate che queste persone decidano di condividere tutte le parole che conoscono per dare un nome a
ciò che hanno dissotterrato.
Immaginate che quelle stesse persone riescano a trasformare quell’oggetto dissotterrato in una storia,
mettendolo in viaggio. In ogni narrazione esiste, infatti, un movimento, che sia piccolo o grande, fisico o
emotivo, volontario o involontario, riuscito o fallito. Immaginate pertanto che quelle persone riescano ad
offrire a quello oggetto scelto una vita tutta nuova. Quella narrativa
Immaginate che quelle persone scrivano e riscrivano, che analizzino la grammatica interna della loro storia,
i codici, il topic, le tecniche e le percezioni personali; immaginate che ne raccontino e si raccontino, che ne
leggano e ne rileggano.
Immaginate di essere voi quelle persone.


Basta orologi, ora servono i calendari di Teresa Musca

Il tempo (come misurarlo)
Gli orologi non mi servono, in questi giorni, anche se ogni tanto rivolgo uno
sguardo distratto allo Swatch grigio al mio polso e al quadrante verde sul muro della
cucina, per abitudine; un’occhiata al telefono prima di spegnere la luce e
dormire, per calcolare quanto sonno mi concede la sveglia, che regolarmente
ignoro dopo averla spenta con un gesto meccanico. I minuti che scorrono sullo
schermo del televisore, visualizzati con il telecomando, mi danno il ritmo per
sudare sulla cyclette. Il timer sul microonde mi dice quando assaggiare la
pasta per controllarne la cottura. Anche troppi orologi intorno, per segnare un
tempo che va per conto suo, respira in un modo che non conosco, gonfia e svuota la
bolla in cui vivo. Invece è necessario un calendario, per capire lo scorrere dei giorni, tutti troppo
uguali. Quanti ne sono passati da quando ho sentito parlare per la prima volta del
virus, troppo lontano per riguardarmi davvero, quanti dalla scoperta dei primi contagi in Italia, ancora abbastanza distanti, venivano dalla Cina, subito
individuati, isolati e curati.
Non segnavo i giorni sul calendario, solo le scadenze delle bollette.
Però ricordo il primo caso di un italiano, la comparsa della bolla grigia, quel venerdì
21, scacciata a forza per far posto alla musica. A cosa sarebbe servito fare brutti
pensieri?
Vicino, sempre più vicino, adesso ci riguarda tutti. Ma la vita scorre come al
solito, lavoro, studio, impegni, incontri. La gente vive, la gente muore, la gente si
ammala. La scuola chiude due giorni per sanificazione. La scuola sospende l’attività didattica in presenza dal 27 febbraio al 15 marzo, poi fino al 3 aprile.
Dobbiamo stare attenti ai contatti, niente più abbracci e baci o strette di mano,
stare a distanza di sicurezza, un metro o di più, evitare gli assembramenti, poi
ancora meno, sempre meno possibilità, non ci scambiamo più nemmeno sguardi e
idee o energie che non siano mediate da uno smartphone, da un tablet o da un
computer. Si esce solo per fare la spesa e la danza tra le corsie e i banchi del
supermercato è gentile e racconta che abbiamo cura di noi e degli altri.
Due domeniche fa ho visto le mie amiche, domenica scorsa ho ancora pranzato con
la mia mamma, che ha ottantaquattro anni e vive da sola. Anche oggi è
domenica, 15 marzo, i ragazzi sono ancora a letto. Ho pulito il terrazzo: mi sembrava
una cosa buona e utile. Faccio piccolissimi progetti per le prossime ore, prendo con
me piccolissimi impegni che forse non manterrò. Controllo quanti minuti di
telefonate mi sono rimasti, mi chiedo chi chiamerò oggi.
Vorrei aver segnato sul calendario il giorno che ho preso l’auto per andare a trovare il mare, quello in cui una meravigliosa luna piena mi ha sorpreso sorgendo gigante nel cielo buio. Il
tramonto neppure speciale che ho guardato distrattamente.
Ieri ho fatto il conto delle cose buone, domani continuerò questo inventario.

(articolo de Il Corriere della Sera del 6/04/20)


Riparte il laboratorio di scrittura sul femminismo

Riprendiamo il laboratorio di scrittura (on line)
domenica 19 aprile ore 17,00
Creare una stanza tutta per noi!
La mia stanza, la mia scrittura. V. Woolf
Lo studio. Alice Munro
Qui, coltiviamo il sogno. Sibilla Aleramo

La scrittura, la conversazione, la lettura sono strumenti che ci permettono di comprendere il senso profondo della realtà, di promuovere il pensiero autonomo e non copiare/incollare opinioni altrui, per recuperare il senso di appartenenza a una comunità, fulcro di un cambiamento.
Scrivere è un’esperienza di vita, se scrivo io capisco meglio me stessa e gli altri, se scrivo e mi racconto allargo la coscienza, scrivere vuol diventare libere, con la scrittura io mi definisco (non parlo dell’autobiografia ma della capacità di esprimere un concetto che parte da noi, il lavoro di scrittura mi serve per dare ordine ai miei pensieri, per svelare il sommerso, per definisce la mia relazione col mondo. Per rendere all’esterno il nostro pensiero dobbiamo scriverlo, non dobbiamo convincere nessuno o spigare qualcosa, dobbiamo raccontare la vita così com’è, che rendiamo viva grazie alla parola.
Ogni parola ci illumina, ci guida, ci fa trovare la strada.

per informazioni inviare un messaggio al num. 392.1995892
o una mail a associazionecollettiva@gmail.com


Crearsi una stanza tutta per sé, anzi uno studio / Alice Munro

«La vita reale non erano la mia casa, i figli, il marito.
Ciò che era reale era la mia scrittura,
come si sviluppava nella mia mente e poi sulla pagina.
Una realtà a cui non ho potuto rinunciare, mai».

Alice Munro soffre di attacchi di panico, ulcera, depressione, è sfinita ma convinta, come Virginia Woolf, che per compiere questo dovere nella scrittura si deve prima uccidere l’Angelo del focolare, l’ombra della donna ideale, vittoriana, sacrificata, buona e pura, anzi è necessario uccidere anche il mito della maternità. Infatti il racconto Lo studio sembra la prosecuzione della stanza tutta per sé. È lei, infatti, che scrive con una mano e con l’altra allontana la figlia di due anni che vuole chiederle qualcosa. Lei, Nobel per la Letteratura del 2013, nasconderà per anni questo suo mestiere ad amici e parenti e scriverà mordendo scampoli di tempo rubati alle figlie, al sonnellino pomeridiano delle stesse. Ma a lei la stanza non è più sufficiente, Alice vuole di più. Lei ha bisogno di uno studio tutto suo. Uno studio in cui portare solo un tavolino, dei fogli, una macchina da scrivere, un bollitore per fare il caffè. Un luogo dove scrivere il proprio manifesto, libro, e combattere contro il tarlo della paura e la marginalità del fatto di non essere riconosciute come scrittrici. Un manifesto mai arrabbiato, un libro fatto di tanti racconti che indagano i rapporti umani che decidono, etichettano, condannano una scrittrice all’anonimato. Un anonimato da combattere non per pura sete di successo ma semplicemente per rispettare la vera essenza che ci abita e ci guida e guida la punta incandescente della nostra penna.

«La soluzione alla mia vita mi venne in mente una sera mentre stiravo una camicia. Era semplice ma audace. Mi presentai in soggiorno dove mio marito stava guardando la televisione e dissi: - Ho pensato che dovrei avere uno studio. Sembrava un’idea stravagante perfino a me. Che cosa me ne faccio di uno studio? Ho una casa: è bella, spaziosa e ha la vista sul mare; offre vani adatti a mangiare e dormire, farsi un bagno e chiacchierare con gli amici. Ho anche un giardino, lo spazio non manca. No. Ma a questo punto arriva la dichiarazione non facile: sono una scrittrice. Detto così non suona bene. Troppo presuntuoso; fasullo, o quantomeno poco convincente. Riproviamoci. Scrivo. Va meglio? Cerco di scrivere. Così è anche peggio. Falsa modestia. Dunque?».

continua


STORIE SUL FEMMINISMO, scrittrici e filosofe per il sapere delle donne

Il percorso di scrittura, lettura, riflessione e azione
del 2020 si chiama
STORIE SUL FEMMINISMO
inizia domenica 1 marzo (dalle 17,00 alle 20,00).

I pomeriggi saranno dedicati alla
alla scoperta di filosofe e scrittrici
che hanno lottato per diffondere il sapere delle donne,
alla scrittura di note e riflessioni,
alla organizzazioni di azioni collettive.

Questa parola fa ancora paura, ma sarebbe bello riabilitarla
grazie a un percorso di lettura, grazie alle conversazioni,
grazie alla riflessione, grazie all’azione.
Crediamo nei piccoli gruppi di cambiamento sociale.
I cambiamenti devono invadere i luoghi dove lavoriamo, le nostre vite private, la sfera politica, la pubblicità, LA VITA REALE DELLE PERSONE.
Per ottenere risultati tangibili noi femministe dobbiamo semplificare il linguaggio, dobbiamo soffermarci sui significati nascosti, dobbiamo includere tutti, anche gli uomini.
Il femminismo non è un movimento, il femminismo è in movimento.

Saremo presso l'Ostello
LOBBY Collective Hostel
Via Bertolli, n. 2 Lecce
vicino OVS di via Leuca
(Castromediano di Lecce)

per saperne di più mi puoi scrivere o chiamare cell. 392.1995892